Durante gli anni della ricerca le giornate indipendentemente dallo studio erano trascorrere in primo luogo sul come sopravvivere. La vita bohemien e dura se lo stomaco è vuoto, i parametri della salvezza erano difficili, ed apparivano tesi se considerati addirittura inaffidabili dal punto di vista esistenziale! Ciò che sembrava impossibile poteva (per lo meno) accadere qualche volta! Qualche tela regalata per un po’ di cibo e dei colori permettendomi di realizzare ciò, che se mai in corta durata un po’ di lavoro nuovo, secondo la procedura della ricerca, abilitandomi nella realizzazione di ciò che poteva sembrare illuminante dal punto di vista della ricerca! Erano gli anni inesorabili spietati per chi non fosse abilitato all’occupazione cosiddetta statalista; l’incertezza della vita bussava costantemente affini di aprire o di inaugurare un varco alquanto sempre più incerto, difficile da capire se mai lo avessimo già capito? L’impedimento ad una vita normale era del tutto fondata dal fatto che l’arte per quanto bella e capricciosa era improbabilità a soccombere alle esigenze di una quiete sopravvivenza se non del tutto esasperante ed impossibile, quando mai! L’arte potesse risvegliare il desiderio innovativo dell’esistenza imprevedibile! Quasi sempre! Qualche volta, qualcuno per puro caso si interessava al mio lavoro, erano giorni di quasi completo digiuno, dei tizi mi proponevano: finalmente t’ho trovato (uno mi disse), voglio darti una commissione per sapere, mi raccomando sul costo mi disse, roba da regalo, accondiscesi alla commissione se pur da regalo! Costo delle opere 5 mila lire cada una, già era qualcosa 3×5=15 5 mila per due panini all’aringa e allo sgombro, 10 mila per materiale di vario genere per belle arti.

Le due età
Olio su tela 100×130 (2007)

Le due età
Olio su tela 100×130 (2007)
Questi erano gli anni della diaspora esistenziale in terra nativa, forse peggio di quelli avvenuti in Australia per molti versi lo erano, tempi difficili per vivere, impossibili da considerare, tuttavia rimaneva il senso della sopravvivenza abituale e anche se l’esistenza reale fosse annichilita per concezione dell’assurdo, quasi fossimo disabilitati alla stessa esistenza per colpa di qualcuno o qualcosa, ciò che prevaleva era quel martirio per l’arte secolare destinata ad alcuni prescelti ma sicuramente abbandonati ad una mera sopravvivenza personale.Quindi plausibile dal punto di vista realistico in quanto risolvente problemi e problematiche della sopravvivenza giornaliera era ed è la normale caratteristica di burocrati sotto l’emblema dell’imperialismo sociale affidato ad una categoria particolare, quella dei statalisti. Oggi è la medesima socialità e si ripropone con eguali modelli e con tutta probabilità quelli di domani; per coloro che devono dare, e avere e del fare, come ben vediamo le abitudini umane si ripropongono nelle epoche secolari. Il tempo delle farfalle era iniziato negli anni 60 a favore di quella, di una società del dopoguerra, costituitasi abbiente per intervento del cosiddetto piano Marshall, doveva essere un rapporto fondato sulla reciproca amicizia fra USA ed Europa colonizzata, in particolare la Sicilia multietnica, il crocevia di colonizzatori di ieri e di oggi. L’Italia era aiutata dagli USA, come il resto dell’Europa Occidentale che non fosse amicizia fondata su reciproci interessi di natura economico politico sociale e militare. Gli anni 90 furono la dissolvenza di un tale profitto destinato a scemare per colpa della politica intransigente di un Europa disunita certamente non per colpa del piano Marshall, molto proficuo per gli USA, voglio ricordare l’estrazione del petrolio in parte nella provincia di Ragusa gli impianti petroliferi di Gela, Milazzo e Priolo.

Al chiar di Luna
Olio su tela 65×85 2013

Al chiar di Luna
Olio su tela 65×85 2013
In quanto all’Europa l’avversione per il piano Marshall era noto poiché basato sullo sfruttamento territoriale della stessa Europa consentendo agli USA un maggiore coinvolgimento negli affari europei, soprattutto politico economico militare comunque, sia, l’arte era rimasta invariata; il suo proponimento è rimasto da sempre lo stesso come sono da sempre state invariate le società degli uomini, l’arte inconcepibile la quale dona se stessa e la società “incontenibile” che la rifiuta non è sorprendente dunque se il rifiuto dell’arte proviene dall’incontenibilità della società stessa, con i suoi problemi di ordine amministrativo burocratico culturale, i giorni volavano via e c’era ben poco da sperare nel presente mentre il futuro ignaro ed incerto copriva le capacità percettive ed intuitive del ragionare speranzoso. Giorgio da parte sua viveva nel presente, non considerava affatto una vita basata sul sofismo temporale ma, reale era la sua vita come reale era la pittura che faceva, ma sempre attento allo svolgere del tempo in modo come diceva lui “realistico” pur ritrovando se stesso nei pantani burocratici delle circostanze; quando ciò accadeva erano incontri casuali a decifrare gli avvenimenti turbolenti e circoscritti alla burocrazia ambientale, in quanto all’assemblaggio delle nostre vite erano sostenute da un sistema ricco di incertezze e di poche possibilità di sopravvivenza qualsiasi proponibile atteggiamento totalitario burocratico era basato sulle incertezze delle nostre vite, d’altronde, le sue leggi, ripercussivo sistema, organizzato socio economico statalizzato per opprimere la democrazia e la libertà, trattavasi di un regime apparentemente democratico, ma che poi la sua visione dei fatti (parlo del sistema) era strettamente clientelare affaristico. Mentre gli anni passavano le nostre vite si accorciavano a pensare per un futuro incerto del sopravvivere quieto era assai improbabile dal fatto che la gestione politica del paese si presentava socialmente repressiva, a pensare la povera esistenza ricca di presupposti e di affanni, ed esente, di qualsivoglia speranza faceva di noi dei candidati all’obitorio per forza maggiore.

La stazione ferroviaria di Ragusa 1 (prospettiva ottica)
Olio su tela 65×85 (2006)

La stazione ferroviaria di Ragusa 1 (prospettiva ottica)
Olio su tela 65×85 (2006)
La vendita, ossia il regalio delle tele era divenuta la mia primaria abitudine, considerando l’inammisibilità di acquisto ragionevole, da parte di eventuali clienti, o compratori, quindi il prezzo dell’opera si riduceva ad un baratto forfettario “Carlo ti compro la tela e i colori e tu mi fai l’opera”: sovente era necessario stabilire una condizione di regalia, “io mi prendo il quadro a condizione che sia un regalo!” Molte volte la questione terminava nei banchi di coloro i quali agivano più che come delle persone oneste da comuni, truffatori e ladri incalliti; ricordo un periodo durante la mia malattia: alcuni personaggi affluivano allo studio soltanto per portarsi via delle tele, solitamente nascoste dentro il soprabito, e affannandosi alla vista del maltempo correvano ad incamerarsi nell’abitacolo delle loro auto, tutto questo era la condizione sociale dell’epoca della quale era pressoché difficile uscirne fuori. Giorgio indelebile vittorioso riusciva invece ad avere un compenso assai gradevole, per le sue prestazioni di costruttore di paesaggi locali, e le richieste aumentavano anno dopo anno, qualche volta riusciva anche a comprarsi un vestito nuovo. La nostra vita era questa costruita su misura per i sopravvissuti delle vite ridotte a supremazia degli oppositori apostolici sociali abbienti di gratitudine apostolica verso l’arte dei diseredati epocali. Giorgio riusciva a svendere qualche paesaggio, mentre io succube dell’ingiustizia apostolica non riuscivo a concludere nulla di buono per colpa delle ruberie altrui! Gli anni 90 furono anni di assoluta manutenzione dello stile nuovo, molto fresco ed abbiente di particolari poco probabilitato ma con la consapevolezza di essere sulla buona strada. Giorgio nonostante fosse euforico di a “New style” si era trincerato come al solito nel tradizionale, noto come assoluto costruttore di paesaggi locali con ascendenza al rinnovamento esistenziale della tradizione ma con un pizzico di fantasia presso o poco era diventato il beniamino degli amatori del paesaggio locale in chiave personalistica tradizionale, oltre tutto volutamente predisposto ai gusti della massa ignorante del molteplice concepimento di forme d’arte al quanto innovative, tuttavia ciò non toglie di mezzo il suo indole per l’affinatezza di uno stile prettamente stilistico e graficheggiante una pittura di sicura identità, costruita per una socialità intesa di mannere e di vitelli locali sotto scrivendo un abbondante reso conto della cultura della loro stessa esistenza. Gli inverni dell’altopiano ragusano sono rigidissimi, parlo delle 10 0 12 sotto 0 per lo meno dove abito con mia moglie Dora e i miei due figli. Talmente rigidi che quando vado al paese ricollego il posto ad Aushwits come lo chiamo io. Rispetto ai gradi più 7, della vicina Marina di Ragusa, tutto altro clima specie nei giorni del merlo, poi ritornando ad Auschwits, l’altura dell’altopiano si fa sentire e credetemi non sarà mai questione di abitudine. La primavera invece mita arrendevole ed, accogliente per la sua fioritura anche perchè in periferia l’aria e il sole si completano “l’una nell’abbondanza dell’altro”.

Dalla ringhiera al pilastro (prospettiva ottica)
Olio su tela 65×85 (2008)

Dalla ringhiera al pilastro (prospettiva ottica)
Olio su tela 65×85 (2008)
Gli spazi aperti fioriscono nella rigogliosa abbondanza di luce e di calore specie quando cerco la luce per il mio lavoro! Giorgio non venne mai a trovarmi nello studio in campagna anche per il fatto che essendo sprovvisto del mezzo di trasporto era disabilitato negli spostamenti fuori dal paese, oltre che in città! Era un’altra storia; camminava sempre a piedi. L’estate si prolungava in qualche annata più del previsto dandomi la possibilità di arrivare quanto più tardi all’inverno, gli inverni come di solito erano sono sempre irrimediabilmente rigidi, maestosi e micidiali. Gli anni 90 furono terribili per molti versi fra ricerche e studio mi avevano annichilito a dir poco completamente, la sopraffazione della stanchezza era ormai sopraggiunta come un macigno, infatti quegli anni rappresentarono per me un periodo assai triste di un ritorno latente alla depressione nervosa sempre speranzoso però di un miglioramento salutare ed incerto dei ricordi dei fantasmi del passato, del terrore angusto delle prostrazioni nervose subdole. La speranza di un miglioramento è sempre evasivo se considero le origini della malattia, l’iniziazione probatoria di un calvario intermittente, del tutto irremovibile, impetuoso per molti versi quando penso al fatto di essere sottoposto all’incertezza stessa della malattia. Gli anni 90 furono gli anni d’un travaglio logorante sia dal punto di vista della pittura che della malattia, vedere le speranze affievolirsi dall’ingrata vita quasi sempre mi riportavano a considerare l’innata speranza d’un resuscitante esistenziale fatto probabilmente di avvenimenti belli e incompromettenti.

Dentro lo studio (prospettiva ottica)
Olio su tela 70×100 (2007)

Dentro lo studio (prospettiva ottica)
Olio su tela 70×100 (2007)
Lo stile formatosi dalle distrazioni epocali verso l’inevitabile ripensamento di un cammino quasi fosse un atteggiamento irreale, acquisito, piuttosto ambiguamente, che realmente per il fatto dello specifico surreale predisposto. Gli anni 90 erano predisposti su questo versante imprevedibili quanto lo stile formatosi nel contesto epocale di un martirio evolutivo padrone incerto del futuro. La fine degli anni 90 evocava in gran parte quella soglia quasi raggiunta di aspettative della «Nueve Art». L’espressionismo muove, un modo di fare arte innovativa senza precedenti e poiché le basi erano completamente nuove il pensiero risolutivo avvicinarsi costantemente e continuamente al logorio della fattibilità stilistica inquanto al menage delle predisposizioni operative; ovviamente qualsivoglia concetto doveva, deve disporre di una propria idea dalla quale ideologia le probabilità di riuscire dipendessero dal coordinamento tecnico strutturale; tale concetto moltiplicato per x può produrre x per tale ragione il cammino è lento, inesorabile ed angusto, poiché deve appropriarsi sistematicamente di una ideologia basilare ma in assenza di un reale fondamento teorico, è come dire: di una costruzione che apparentemente abbia.