Carlo Criscione combina temi tra loro differenti in una nuova concezione visiva, nel solco e al di là della tradizione, prendendo spunto da una pittura “alta” in cui a sua volta si iscrive, per nulla intimorito dal raffronto coi maggiori. Lo testimonia la sua vocazione all’autoritratto: ve ne è almeno uno per ogni rassegna. Qui egli si mostra allegro e sorridente, con in mano gli strumenti del mestiere, altrove altero e distaccato. Ma ciò che conta è il rapporto che la sua figura instaura, più che col fruitore, coi “dipinti nei dipinti” tracciati nel resto della tela, sullo sfondo e in primo piano: ora con le nature morte allineate su un tavolo, ora con un paesaggio coloratissimo inquadrato da un’apertura, ora con una distesa enorme che delimita lo studio dell’artista. Si tratta, evidentemente, di una relazione simbolica, in cui i volumi degli oggetti non rimandano alla realtà fisica ma al tempo che, per loro tramite, si riversa sul quadro, prolungandone la durata all’infinito.
Un volta convertito il tempo in spazio, il divenire residuo viene esorcizzato attraverso la ripetizione dell’uguale: paragonando dipinti lontani anche di parecchi anni, è difficile cogliere differenze eclatanti. Lo stile si sviluppa come il tronco di un corallo, seguendo un ritmo regolare. Ed è uno stile espressionistico, dove il colore è adoperato puro, senza nuance o velature, e le linee dei corpi si deformano assecondando l’onirismo dell’autore. Colpisce, anzitutto, la grande attenzione che egli spende nel neutralizzare, mediante spesse campiture, gli effetti di saturazione e di brillanza, vale a dire di accentuazione cromatica, che scaturiscono dall’accostamento dei complementari, nonché la sua propensione a far convivere nella medesima opera primi piani ravvicinati e fondali così profondi da sembrare osservati con un cannocchiale, ma a patto di guardare dalla lente sbagliata. L’effetto di straniamento che ne deriva lascia intuire con quale spirito egli si accosti alla vita, percependone l’intrinseca instabilità. Quel tavolo in bilico sul pavimento, quella barca che quasi si solleva dal fondo delle acque, quella pianta “di casa”, ma dalle propaggini contorte e attorcigliate come una foresta, quella rosa eretta contro la spalliera di una sedia, sono altrettanti allarmi. Dichiarano che il nostro habitat è in pericolo, che sta per collassare. Non resta che decidere – e non è dubbio da poco – se metterci in salvo o rimanere a contemplare la sua prossima esplosione.
Andrea Guastella